Banca Agricola Italiana
Piemonte, Torino
Nel 1873 venne costituita a Torino la banca privata Angelo Cravario & C. di proprietà di una famiglia originaria del Monregalese, stabilitasi a Torino nella seconda metà del XVIII secolo al fine di esercitare il commercio di pellicce. Il figlio di Angelo Cravario, anch'egli di nome Angelo, al termine della Prima guerra mondiale ne modificò la denominazione in Banca Agricola Italiana, società in accomandita semplice, per sottolineare la peculiarità dell'Istituto, specializzato nella raccolta dei depositi del mondo rurale. Il 20 ottobre 1920 il banchiere piemontese costituì una nuova Banca Agricola Italiana (BAI), società anonima con un capitale di dieci milioni di lire, sottoscritto per metà dalla vecchia banca e per l'altra metà dal gruppo finanziario lombardo Boneschi-Gottlieb, legato al Credito Mercantile Italiano. Nel giugno 1921 il finanziere biellese Riccardo Gualino acquisì l'Istituto, sottoscrivendo interamente un aumento di capitale di 7.500.000 lire attraverso la Società Marittima e Commerciale Italiana e rilevando le azioni del gruppo Boneschi-Gottlieb. Nel 1923 Angelo Cravario cedette le proprie azioni a Gualino e lasciò la carica di amministratore delegato dell'Istituto a Paolo Pedrotti, uomo di fiducia dell'imprenditore biellese, sotto la cui gestione la BAI venne utilizzata per il sostentamento delle imprese di Gualino, soprattutto la Snia-Viscosa, "che in quel momento era agli albori" (dal promemoria redatto probabilmente dallo stesso Gualino ed inviato al governo e alla Banca d'Italia nell'ottobre 1929). L'Istituto infatti orientò il suo lavoro principalmente alla ricerca di liquidità attraverso: l'ampliamento della rete delle dipendenze; l'assorbimento di altri istituti (Banca Agricola Industriale di Casale Monferrato, Credito Piemontese, Banca Biellese, Banca Generale della Penisola Sorrentina); la concessione di tassi d'interesse molto alti su depositi vincolati. Nonostante l'alto livello di raccolta, però, l'Istituto viveva sempre in uno stato di carenza di liquidità, a causa di un eccesso di immobilizzi a favore delle imprese di Gualino (nel 1928 le sofferenze erano di 800 milioni di lire, pari a circa 2/3 dell'attivo della Banca): ciò portò alle dimissioni di Pedrotti (allontanato anche per aver effettuato speculazioni private in Borsa con fondi dell'Istituto), che fu sostituito da Francesco Tibò. Il 1° ottobre 1930 Mussolini, parlando al Consiglio Nazionale delle Corporazioni sulla situazione dell'economia italiana, affermò che "non tutti possono essere salvati; taluni meritano anzi di colare a picco. La maggioranza di questi ultimi appartiene alla categoria [...] degli abborracciatori di affari; uomini, più che intraprendenti, temerari; acrobati dell'industria e della finanza; supremamente e disinvoltamente enciclopedici nelle iniziative; la loro gamma va dal cemento alla cioccolata; dal più pesante come il piombo, al più leggero come la seta artificiale". Era evidente, in questo caso, il riferimento proprio a Gualino, impegnato in tutti i settori industriali citati dal Duce, che fu così arrestato il 19 gennaio dell'anno successivo.
Il 26 marzo 1931 il ministro delle Finanze Antonio Mosconi rese noto l'elenco degli istituti incaricati del salvataggio dell'operazione: Banco di Napoli, Banca Commerciale Italiana, Banca Nazionale del Lavoro, Banca Popolare di Novara, Monte dei Paschi di Siena, Istituto Italiano di Credito Marittimo, Banca Mutua Popolare di Bergamo, Banca Popolare di Cremona, Banco di Santo Spirito e, per gli sportelli BAI di Liguria, Piemonte e parte della provincia di Pavia, Istituto di San Paolo in Torino - Beneficenza e Credito. Il San Paolo acquisì 305 sportelli su un totale di 829 e circa 260 milioni di lire di passività su 645 milioni.
bibliografia
- Giuseppe Guarino e Gianni Toniolo (a cura di), La Banca d'Italia e il sistema bancario. 1919-1936, Roma-Bari, Laterza, 1993;
- Nicola De Ianni, Gli affari di Agnelli e Gualino. 1917-1927, Napoli, Prismi, 1998;
- Claudio Bermond, Riccardo Gualino finanziere e imprenditore. Un protagonista dell'economia italiana del Novecento, Torino, Centro Studi Piemontesi, 2005.