Monte Pio di Montevarchi
Toscana, Montevarchi
La costituzione di un Monte di Pietà a Montevarchi rappresenta un passaggio importante del processo di ristrutturazione e riorganizzazione dei luoghi pii cittadini avvenuto nel corso del '500 per opera delle famiglie più influenti della città. L'obiettivo era quello di porre sotto il loro controllo, o sotto il controllo del Comune, le numerose compagnie laicali o devozionali ricche di immobili e terreni attraverso la costituzione di nuove istituzioni caritative. Il Monte Pio di Montevarchi nacque così dalle ceneri di tre ricche compagnie laicali: Santa Maria del Pellegrinaggio, San Lodovico e Sant'Antonio. Nell'aprile 1549 i confratelli delle tre compagnie diedero mandato ad altrettanti procuratori di impiegare le ricchezze di queste istituzioni, ormai in declino e già depredate di molti beni, nella creazione di "un Monasterio o altra opera pia". Subito scartata dal duca di Firenze l'ipotesi di erigere un monastero (il convento della Madonna del Latte, che venne comunque eretto nel 1566 con il sostegno del Monte), nel settembre 1550 i procuratori presentarono il progetto del Monte di Pietà: questa volta Cosimo I, seppur con qualche riserva, accettò la supplica. A differenza degli altri Monti di Pietà italiani, nati nell'ambito della predicazione religiosa di tipo francescano, quello di Montevarchi venne così costituito per esclusivo impulso del gruppo dominante locale e, fin dall'inizio, assunse le caratteristiche di un istituto di credito. Gestito dai rappresentanti delle famiglie più abbienti cittadine, l'Istituto iniziò la propria attività il 1° ottobre 1551. Appena aperto, i gestori usarono le risorse a disposizione non tanto in favore dei poveri della città, quanto per attività che ben poco avevano a che fare con i compiti istituzionali del Monte: nel 1552 venne infatti finanziata la costituzione della Compagnia del Gesù, una scuola privata riservata ai figli del ceto dirigente. Per questo uso distorto delle risorse, nel 1566 il Consiglio generale della comunità inoltrò una rimostranza a Cosimo I. Inoltre non mancarono, nei primi anni di attività, malversazioni da parte di chi aveva il compito di custodire i pegni o di maneggiare denaro. Né la tendenza a utilizzare in modo improprio le risorse del Monte né la cattiva gestione degli amministratori riuscirono però ad intaccarne la solidità che anzi, col passare del tempo, assunse un'importanza sempre maggiore, che andava al di là degli stretti confini locali. Nella seconda metà del XVII secolo l'utile sull'attività di prestito si aggirava intorno alle 1.600 lire, sebbene il 75% fosse impiegato per i salari degli amministratori e per il sostentamento delle istituzioni create nel secolo precedente dal Monte. Nel corso del '700 l'Istituto continuò a svilupparsi e ad incrementare la propria capitalizzazione, ma il massimo splendore fu raggiunto agli inizi del nuovo secolo, quando vi erano in media 13.000 operazioni di pegno all'anno per un importo complessivo di oltre 200.000 lire toscane, mentre i depositi oscillavano sulle 100.000 lire. Alla fine dell'800 cominciò l'inarrestabile declino del Monte. Il volume annuo si ridusse sensibilmente scendendo prima ad 8.000 pegni e poi a 4.000 nel 1914, mentre i depositi sparirono completamente. Incorporato il Monte Pio di Sansepolcro nel 1939, con dpr 17 dicembre 1953 l'Istituto venne assorbito dalla Cassa di Risparmio di Firenze.
bibliografia
- Cassa di Risparmio di Firenze, Le opere e i giorni. Vicende storiche, lavoro, vita quotidiana di una Banca nel suo territorio, Firenze, Edizioni Polistampa, 1999, p. 565;
- Lorenzo Piccioli, Potere e carità a Montevarchi nel XVI secolo. Storia di un centro minore della Toscana medicea, Firenze, Leo S. Olschki Editore, 2006, pp. 173-214.
fonti
- Roberto Baglioni, Archivio storico. Raccolta, in volumi rilegati, dei documenti del fondo storico, Firenze, Cassa di Risparmio di Firenze, 2010.